Pubblicato il 07 febbraio 2014
Le banche finanziano sempre di meno le imprese. In un anno, dal novembre 2012 allo stesso mese del 2013, il calo percentuale è stato del 6%. E, secondo le previsioni degli analisti, nulla cambierà nemmeno nel 2014. Si parla di crescita economica, che secondo Bankitalia e Fmi dovrebbe essere dello 0,7%; mentre il governo, più ottimista, indica un +1%. Ma se manca il credito, come si può uscire dalla recessione in un Paese come l’Italia, dove il denaro arriva quasi esclusivamente dalle banche o dal governo?
L’ufficio studi della Banca d’Italia, che ha analizzato le recessioni degli anni passati, sostiene che la crescita è possibile anche in condizioni di assenza di credito: in pratica si deve confidare in una creditless recovery.
Tuttavia il paese attraversa anche una fase di jobless recovery (ripresa senza nuovi posti di lavoro), ha un debito pubblico altissimo, deve rispettare i limiti al deficit imposti dall’Europa, mentre le banche continuano a denunciare sofferenze e incagli per 150 miliardi di euro, una somma che è pari al 7,7% del totale dei prestiti.
Una situazione difficile, e non soltanto per le imprese, grandi o piccole che siano. La mancanza di liquidi incide anche nel tessuto sociale: le spese si riducono, i bisogni aumentano. Così come le richieste di prestiti. Secondo l’Osservatorio prestiti del gruppo MutuiOnline, in 10 anni l’importo medio dei prestiti erogati è passato dai 7.778 euro del 1° semestre 2003 agli 11.317 euro del 2° semestre 2013, con un picco di 15.908 euro riscontrato nel primo semestre 2008, vale a dire quando scoppiò la crisi finanziaria.
Sul problema dei finanziamenti è intervenuto anche Antonio Tajani, vice presidente della Commissione europea: «Se vogliamo davvero dare nuovo slancio alla nostra economia, l’accesso al credito è un tema rispetto al quale non basta porsi domande: bisogna trovare soluzioni costruite sulla collaborazione tra tutti, banche e imprese in primis. Il microcredito rappresenta una di queste soluzioni, visto che dà un segno di fiducia a chi ha difficoltà a riceverne: i più piccoli e i più deboli. Vogliamo più imprenditori in Europa? Allora è sul microcredito che dobbiamo puntare».
Verso la disintermediazione
Fino a poco tempo fa il microcredito era associato ai paesi in via di sviluppo e all’iniziativa di Muhammed Yunus, fondatore della banca che per prima al mondo è stata pronta per far prestiti ai poveri. Ora invece conta molti soggetti che operano nel campo, anche in Italia. Nel 2013 sono state censite 182 iniziative o attività che riguardano il microfinanziamento sul territorio: 30 in Lombardia, 19 in Toscana, 16 in Veneto, 10 in Piemonte e altrettante in Puglia, 8 in Campania, 8 in Abruzzo più altre unità sparse nelle restanti regioni.
Nelle definizione dell’art. 111 del Testo unico bancario, il microcredito assume una configurazione doppia: microcredito per le attività imprenditoriali, o di lavoro autonomo; microcredito sociale, vale a dire a favore delle “persone fisiche in condizione di particolare vulnerabilità economica o sociale”. Ma il settore in Italia ha una storia complicata, a cominciare da quella dell’ente che se ne occupa per conto del governo. Nato come comitato nazionale italiano permanente per il microcredito nel 2006, diventato Ente nazionale per il microcredito nel 2011 (governo Berlusconi) e poco più di un anno dopo inserito nell’elenco degli enti non ritenuti essenziali nel decreto sulla revisione della spesa, la cosiddetta spending review del governo Monti.
«Quando a fronte di tagli lineari si è parlato del nostro ente, fornendo le carte e i documenti della nostra attività, sia il Parlamento che il Governo hanno capito che non era il caso di eliminarlo», spiega Mario Baccini, prima responsabile del comitato e ora presidente dell’ente. «Abbiamo reso pubblici i dati operativi: a fronte di un investimento nei confronti di questa struttura di un milione e 700mila euro l’anno, abbiamo portato a casa all’incirca la stessa cifra, grazie all’intercettazione dei fondi europei. Quindi sostanzialmente l’ente non costa niente. E stiamo parlando di servizi aggiuntivi che né le banche né i privati (le Fondazioni) possono fare».
«Inoltre abbiamo assunto persone, abbiamo fatto lavorare imprese e fornitori», prosegue Baccini. «Siamo anche uno strumento della politica estera italiana, in quanto insieme al Ministero degli affari esteri (Mae), di cui siamo per legge un asset, stiamo sviluppando azioni per la campagna elettorale del Consiglio di sicurezza, a cui l’Italia è candidata. Sempre in ambito internazionale, stiamo sviluppando su indicazione e indirizzo del Mae operazioni mirate di microcredito non solo in Europa, ma anche in Africa, nei paesi caraibici e latino americani, perché in queste realtà ci riconoscono questa specificità. Inoltre per alcuni Paesi europei che il Ministero ci ha indicato stiamo studiando progetti, fondi di garanzia, accordi con le banche locali per offrire questa “italianità” che potrebbe essere un valore aggiunto».
Dove le banche non arrivano
Ma quanto può essere utile un ente come questo, che per statuto è un “soggetto di diritto pubblico che persegue l’obiettivo dello sradicamento della povertà e della lotta all’esclusione sociale”? E che tipo di interventi può effettuare sul territorio?
«Posso anticipare alcuni dati relativi al 2013, anche se la relazione sull’anno la stiamo finendo adesso», risponde Baccini. «Grazie alle linee di contatto europeo, abbiamo aperto 100 sportelli finanziati dalla Comunità europea e per la prima volta una piattaforma, in coordinamento con gli enti locali, utilizzando personale formato da noi e a costo zero per la pubblica amministrazione, in quanto usufruiamo di personale offerto dagli enti locali. Daremo informazioni a tutti coloro che vogliono aprire una micro impresa, su cosa devono fare, a chi devono rivolgersi: una comunicazione integrata e una assistenza capillare. Questo per le regioni cosiddette “obiettivo europeo”: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Sono già cose fatte, ma stiamo definendo l’apertura degli ultimi uffici. Sempre nel 2013, per quanto riguarda l’attività dell’ente, questo si è distinto grazie al progetto “Microcredito donna”, iniziativa per agevolare la formazione di imprese “rosa” e che è stato sviluppato insieme al Ministero del lavoro, con la partecipazione di circa 56 associazioni femminili».
A sentire Baccini, parlamentare romano di lungo corso che è passato nel tempo dall’Udc alla Rosa Bianca, prima di approdare al Pdl, il settore del microcredito è in espansione. «Dati i tempi difficili è uno degli elementi fondamentali dell’economia sociale. L’Italia è uno tra i primi paesi che hanno adottato l’indirizzo dell’Onu nel darsi una struttura pubblica proprio per tutti coloro che sono considerati “non bancabili”. Si tratta quindi di assistere questi imprenditori e privati dove banche e fondazioni non possono arrivare e solo la mano pubblica può intervenire, facendosi carico di quei servizi aggiuntivi che sono necessari, come fondi di garanzia, accompagnamento e assistenza: al momento, infatti, una persona con un rating bancario basso non può accedere a nessun tipo di finanziamento».
Con la prossima estate, al governo italiano toccherà la gestione del semestre europeo. Sarà un fattore positivo per il microcredito oppure ne potrebbe ostacolare l’attività?
«Il semestre europeo aiuterà molto. Tanto è vero che la presidenza del Consiglio ci ha inserito nella task force del G8 per la formulazione dei dossier sull’economia sociale. Sia per il G8 sia per l’Expo, stiamo lavorando perché la microfinanza svolga un ruolo importante sia sui problemi umanitari legati all’alimentazione e ai servizi essenziali», conclude Baccini.