In occasione della pubblicazione della prossima enciclica papale, anche i politici cattolici sono spinti a fare un esame di coscienza sul proprio operato.
La crisi economica globale che nasce dall’assenza di un solido fondamento etico ci spinge a riflettere sul ruolo che ognuno di noi ricopre e sulla correttezza del contenitore in cui fa politica. Il dubbio è spontaneo se non si è complici di atteggiamenti e attività neo pagane e truffaldine, esercitate da personaggi che militano nello stesso partito.
La crisi della Politica nasce da molto lontano, con la crisi dei partiti politici dopo la fine della prima Repubblica. Il personalismo da una parte, e l’impossibilità del cittadino di scegliere il proprio delegato parlamentare dall’altra hanno generato disordine istituzionale e mediocrità politica.
La confusione tra etica ed etichetta, l’abbandono progressivo di alcuni partiti “centristi” dall’insegnamento derivante dalla dottrina sociale della chiesa come cardine irrinunciabile per l’impegno politico dei cattolici, ha generato nei casi migliori “cattiva politica” e nei peggiori il dilagare del “paganesimo”, vero nemico del bene comune. La classe dirigente politica non si inventa, e non potrà essere più selezionata con metodi che non sono in linea con il gradimento preferenziale del cittadino.
Dico questo non per inaugurare un’altra linea di moralismo, ma per affermare il sacrosanto convincimento che fuori dal tunnel dalla crisi e della povertà ci potrà portare solo un personale di uomini e donne pubblici che sappiano bene che dietro ogni scelta di governo c’è una persona in carne ed ossa e non solo un affare da consumare o da sfruttare.
Molti in questi anni hanno confuso la differenza che passa tra un politico e un uomo pubblico. Politico può diventare chiunque, uomo pubblico si nasce: è una categoria morale. I partiti devono trovare nella società e al loro interno questa categoria di persone, come facevano un tempo la DC e il PCI.
La pubblica amministrazione presuppone un forte rispetto dei risparmi dei cittadini e una altrettanta vocazione al bene comune come fine dell’azione politica.
Giustizia sociale, economia sociale, politica come servizio, reciprocità, libertà, dono, sussidiarietà, no profit, buona politica, persona, vita, famiglia; questi i valori che dobbiamo riscoprire come fondamenta della costruzione del discorso politico “moderato” per consolidare e costruire il consenso nei ceti medi e non solo.
Devo constatare che manca il necessario coraggio per affrontare le conseguenze di tali azioni. La politica di centro (ciascuno dopo il trattino ci aggiunga quello che vuole) di questi tempi è animata da troppi “ignavi”. Anche nel mondo cattolico “politicamente impegnato” va fatta una cernita tra chi deve testimoniare e chi deve fare pastorale politica. Da destra a sinistra i cattolici vengono esibiti come preziosi e ambiti alleati, salvo poi sacrificarne la testa alla prima occasione. Il vero coraggio è quello di “realizzare”, come ci ricordava Alcide De Gasperi.
La grande responsabilità dei moderati è quella di non rendere la sinistra radicale competitiva per il governo del Paese. Per il bene del grande popolo moderato, il Pdl e l’Udc dovrebbero convocare con verità e coscienza i rispettivi congressi così che si possa aprire una nuova fase per governare il necessario smantellamento dell’attuale Sistema Paese per creare un nuovo Stato snello ed efficiente ispirato a sani principi di sussidiarietà verticale e orizzontale.
Una grande forza politica di ispirazione democristiana potrebbe assumersi la responsabilità di dare risposte. L’anomalia italiana non sta nel bipolarismo, ma in questo bipolarismo dove il centro è subalterno. Destra e sinistra hanno bisogno di un centro dominante per conservare la loro estrema ed utile specificità. Non diciamo niente di nuovo constatando che in questi anni di assenza forzata di un “centro ” illuminato i limiti della capacita di governo degli estremi sono emersi con evidenza.
Mario Baccini