What is Europe? E’ la domanda che molti si fanno. La risposta non e’ sempre la stessa. Più delle volte si risponde con altre domande, e’ l’Europa dei popoli oppure della politica o ancora delle banche oppure della finanza? Io credo che l’Europa dei padri fondatori De Gasperi, Adenauer…..
e’ di la da venire. Prima di tutto dobbiamo capire cosa e’ successo in questi anni per fare un’analisi obiettiva che ci consenta di fare valutazioni partendo dal rapporto tra politica e economia. E’ fuori dubbio che tale rapporto, non sempre equilibrato, attraversa la nostra intera storia. Questo rapporto, anche grazie a non poche riflessioni come quelle di Smith e Marx per tanti versi speculari, si e’ rotto, dalla seconda meta’ del 1700, a favore della supremazia dell’economia.
Assistiamo oggi a “Stati fragili, mercati forti, economie fortissime. Il tendenziale esautoramento della politica e’ uno dei lati più problematici”. Insomma politica debole e succube dell’economia.
Fatto emblematico anche se pochi se ne rendono conto, perché una politica incapace di svolgere il suo ruolo compromette, ogni seria possibilità di sviluppo.
Lo strettissimo legame che intercorre tra politica e economia e’ vero al punto che questa si sviluppa solo quando e’ garantita la prima. Questo concetto ribalta la classica impostazione Della scuola liberale. E’ la politica quindi, non quella centralista e direzionale di,stampo socialista o comunque statalista, ma quella delle garanzie e delle regole, che possono assicurare lo sviluppo economico, che garantisca i mercati e le possibilità di arricchimento di tutti.
La ricerca di stabilita’ e’ l’elemento cruciale della vita economica. Le agognate riforme sempre annunciate e mai varate, sono il presupposto irrinunciabile per uno stato “tranquillo” e affidabile. Certezza del diritto, giustizia giusta, tempi certi e semplificazione amministrativa sono gli ingredienti essenziali per attrarre capitali e investimenti in quanto il
capitale finanziario e’ persino più mobile degli investimenti diretti. Esso si sposta la dove frutta di più; i diversi Paesi competono tra loro per attirarlo. Ma per attirarlo occorre che vi siano garanzie perché sono queste che gli consentono di fruttare di più.
Coloro che non credono a questa evidenza possono essere definiti, come dice Soros, i fondamentalisti del mercato, perché ancora si illudono, malgrado le conferme della storia, che i mercati si correggano da se. Combattono ogni concezione metafisica, anche dove, come nelle tematiche religiose, lo,sforzo,risulta inutile e privo di senso, e poi reputano il mercato un vero,e proprio assoluto contro il quale sia inutile intervenire. Sono scettici verso qualunque principio morale e poi giudicano gli operatori del mercato privi di difetti e di macchie riconoscendo al mercato stesso capacita divinatorie e di giustizia capaci di porlo al di sopra di tutto, persino delle tentazioni. Questa convinzione, come un po’ tutto il fondamentalismo del mercato, rappresenta una possibile minaccia non solo per l’economia, ma ovviamente per quella economia che amo definire aperta. Non dico che il fondamentalismo del mercato sia diametralmente opposto all’idea di società aperta come lo erano il fascismo e il comunismo. Al contrario i concetti di società aperta e di economia di mercato sono strettamente interconnessi, e il fondamentalismo di mercato si può considerare una semplice distorsione della società aperta (Pizzimenti). Comunque la minaccia e’ seria perché i fallimenti politici, in questo caso i fallimenti delle regole democratiche, sono più drammatici e duraturi di quanto non lo siano quelli economici. Se questo e’ vero e’ la prova che non solo capitalismo e democrazia sono interdipendenti, ma che se il primo può conoscere momenti di crisi, la seconda non può mai abdicare senza generare pericolose e, spesso, irreversibili crisi.”
E’ proprio la crisi della nostra democrazia che ci deve preoccupare, fino ad ora in molti forse in troppi hanno pensato a facili tornaconti economici confondendo etica con etichetta e i diritti con i desideri. La democrazia va coltivata e difesa ogni giorno, se non vogliamo che soccomba a favore di un sistema populistico e neopagano.
Anche la società democratica ha le sue intrinseche debolezze, e tra queste spicca la difficoltà di mantenere alti ideali morali nelle sue istituzioni centrali.
Malgrado io sia del parere che i rischi della democrazia possono essere altri (ad es. insoddisfazione, inappagamento, a volte successo della mediocrità, ecc. ecc.)
Quando parliamo di sviluppo e della capacita’ di creare ricchezza, non dobbiamo dimenticare che tali obiettivi non possono essere raggiunti a tutti i costi ignorando le regole morali e quelle giuridiche che tutelano i deboli e il Pacifico convivere di tutti.
Le attività immorali producono solo l’effimero e generano ricchezza egoistica.